LETTERATURA (2319)

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Ci sono libri per tutti e libri per pochi. 

 

 

E poi ci sono i libri che vogliono piacere ad ogni costo e al maggior numero di persone. Ma come piacere a tutti? Facile, bisogna dire quello che gli altri vogliono sentirsi dire, bisogna mettersi al servizio dei luoghi comuni, fare della banalità una virtù, confermare le aspettative del pubblico.

 

 

Un romanzo invece dovrebbe turbare, suscitare sensazioni, emozioni, pensieri che sono per il lettore nuovi, difficili, problematici. Pensate a Delitto e castigo. Un giovane uccide una vecchia usuraia per il puro piacere di uccidere? È disturbante come idea, no? O pensate ad Anna Karenina? Provate ad immaginare l’effetto che produsse sulla società ottocentesca la storia di una donna sposata che abbandona il marito per stare con l’amante.

 

 

O pensate a Lolita, agli Ultimi giorni di un condannato a morte di Hugo, alle stranianti atmosfere di Kafka? Cos’hanno in comune questi romanzi? Turbano, rompono gli schemi, costringono il lettore a percorrere idee e sentieri che non gli sono familiari, a calzare perfino i panni di un assassino o di un pederasta. Non importa come giudichiate il personaggio, non importa se vi suscita emozioni sgradevoli! Se un romanzo scivola in voi come acqua cheta, indisturbato, inosservato, allora sì che ha fallito nel suo compito.

 

 

Se al termine della lettura non avete provato neanche l’ombra di un turbamento, neanche un fremito di sorpresa, se non avete provato neanche per in istante l’impulso di contraddire lo scrittore, se non vi siete sentiti ora euforici ora braccati da idee che a cui non avevate mai pensato prima, il romanzo che avete letto probabilmente non aveva nulla da dire. 

 

 

G.Middei 

 

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«A Sparta il figlio se era deforme e poco prestante veniva gettato dal baratro del monte Taigeto, poiché né per se stesso né per la città era meglio che vivesse. Di tutte le città della Grecia, Sparta è l’unica a non aver lasciato all’Umanità né uno scienziato, né un artista né un poeta. Forse gli spartani, senza saperlo, eliminando i loro neonati troppo fragili, hanno ucciso i loro musici, i loro poeti, i loro filosofi.»
 
Chi di voi non ha visto almeno una volta nella vita un dipinto di Caravaggio? O letto una poesia della Merini? E Van Gogh? C’è un motivo se in ogni parte del mondo, le opere di Van Gogh, a distanza di due secoli, continuano a suscitare emozioni tanto forti. Pensate che dipinse La notte stellata dalla finestra di un manicomio. Anche Alda Merini venne rinchiusa in manicomio. Molti dicevano che Caravaggio fosse pazzo, e lo stesso dissero di Camille Claudel, di Beethoven, persino di Socrate! Perché? Perché non vivevano come gli altri pretendevano che vivessero. Perché questi uomini sentivano e pensavano in modo diverso. Cosa c’entra con Sparta? 
 
Ecco Sparta fu l’emblema nel mondo antico dell’efficienza. Della forza. Nel mondo spartano non c’era spazio per l’iniziativa individuale, per la libertà d’azione, per i sentimenti; a Sparta la vita dei cittadini seguiva soltanto ordini e regole: era il mondo dell’obbedienza. Ogni aspetto della vita dei cittadini-soldati era controllato dallo stato. Essere un buon guerriero era l’unico scopo dello spartano. Chi non poteva e non sapeva esserlo, doveva sparire. O essere sfruttato. Per questo motivo Sparta non ebbe musici, poeti, filosofi.
 
Oggi lo stato non vuole cittadini-soldati, ma cittadini-consumatori. Persone che pensino e sentano in modo facilmente prevedibile, facilmente controllabile. Non servono i filosofi, non servono i pensatori, non servono gli artisti ma soltanto operai altamente qualificati. Ed ecco perché la Storia, a detta del nostro illustre ministro Cingolani, non serve a nulla. Agli uomini-macchina non è utile conoscere la storia di Sparta. Ragionare. Mettere in relazione. 
 
G.Middei
 
 
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«Non so se mi ero innamorata di te.

Mi innamorai però di altre cose, lo so:

di una stanza scomoda rivolta a nord,

di una teiera che crepitava di sera.

Degli alberi mi innamorai che toglievano spazio,

dei solitari e soffocanti cinema di quartiere,

dei dolorosi ricordi di prigione,

di un muro ferito dalle bombe.

Delle fermate del tram, delle foglie ricoperte di brina,di una calda tasca con castagne bruciate,

della pioggia scrosciante, del suono del telefono,

perfino della nebbia fonda color cenere.

Di tutto il mondo mi ero innamorata, non di te.

Lo scoprivo nuovo, interessante, ricco.

Per questo soffro… Non per averti perso.

Altro ho perduto - il mondo intero.»

 

 

(Blaga Dimitrova)

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Incredibile come il dolore dell’anima non venga capito. Se ti becchi una pallottola o una scheggia si mettono subito a strillare presto-barellieri-il-plasma, se ti rompi una gamba te la ingessano, se hai la gola infiammata ti danno le medicine. Se hai il cuore a pezzi e sei così disperato che non ti riesce aprir bocca, invece, non se ne accorgono neanche. Eppure il dolore dell’anima è una malattia molto più grave della gamba rotta e della gola infiammata, le sue ferite sono assai più profonde e pericolose di quelle procurate da una pallottola o da una scheggia. Sono ferite che non guariscono, quelle, ferite che ad ogni pretesto ricominciano a sanguinare.

 

 

E a questo mondo niente ferisce, avvelena, ammala, quanto la delusione. Perché la delusione è un dolore che deriva sempre da una speranza svanita, una sconfitta che nasce sempre da una fiducia tradita cioè dal voltafaccia di qualcuno o qualcosa in cui credevamo. E a subirla ti senti ingannato, umiliato, sicché a volte cerchi la vendetta. Scelta che può dare un po’ di sollievo, ammettiamolo, ma che di rado s’accompagna alla gioia e che spesso costa più del perdono.

 

 

Oriana Fallaci 

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«Quando non c'è più rimedio è inutile addolorarsi, perché si vede ormai il peggio che prima era attaccato alla speranza.
Piangere sopra un male passato è il mezzo più sicuro per attirarsi nuovi mali.
Quando la fortuna toglie ciò che non può essere conservato, bisogna avere pazienza: essa muta in burla la sua offesa.
Il derubato che sorride, ruba qualcosa al ladro, ma chi piange per un dolore vano, ruba qualcosa a se stesso.»
 
(William Shakespeare - Il Mercante di Venezia)
 
 
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Più povero è il linguaggio, più il pensiero scompare. 
 
Tutti i regimi totalitari hanno sempre ostacolato il pensiero, attraverso una riduzione del numero e del senso delle parole. Se non esistono pensieri, non esistono pensieri critici. E non c'è pensiero senza parole.  
 
Ad esempio eliminare la parola "signorina" (ormai desueta) non vuol dire solo rinunciare all'estetica di una parola, ma anche promuovere involontariamente l'idea che tra una bambina e una donna non ci siano fasi intermedie. E come si può costruire un pensiero ipotetico-deduttivo senza il condizionale? «Coloro che affermano la necessità di semplificare l'ortografia, abolire i generi, i tempi, le sfumature, tutto ciò che crea complessità,» sostiene il linguista Cristhopher Clave, «sono i veri artefici dell’impoverimento della mente umana. Aveva ragione! 
 
È a ricchezza semantica che ci permette di esprimere con precisione le nostre emozioni, le sensazioni, i pensieri. Quando i vocaboli si riducono, scompaiono anche i concetti astratti equivalenti. Il risultato? Un impoverimento emotivo e concettuale oltre che linguistico. E che dire degli anglicismi?
 
«A trentaquattro anno ho scelto il “social egg freezing» leggo con orrore su Repubblica. «Un sacchetto di patatine a 1800 dollari, la nuova “trollata” di Demna» recita l’articolo seguente e la mia perplessità aumenta. Eppure l’Italia è la terra che diede i natali a Leonardo da Vinci, a Michelangelo, a Galileo, a Leopardi. Dovremmo essere fieri della nostra storia. Della nostra lingua. Thomas Mann così scrisse: «Non c’è dubbio che gli angeli nel cielo parlino italiano». Cari giornalisti, fate un favore a noi lettori: Thomas Mann definì l’italiano la lingua degli angeli, usatela! 
 
G.Middei
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Considerazioni abbastanza vere

Ma voi avete mai visto gli occhi di un uomo che muore? Avete mai sentito le urla di una moglie accanto al letto del marito, quando si rende conto che costui sta per andarsene? Avete mai provato a dare coraggio a una madre incredula, che non lascia nemmeno per un minuto la mano del figlio incosciente, dopo un incidente d'auto? Se non avete mai visto nulla del genere, non giudicateci, non giudicate noi operatori o infermieri se quando torniamo a casa non abbiamo voglia di parlare con nessuno, non criticateci se talvolta risultiamo apatici, noncuranti dei piccoli fastidi che disturbano le vostre giornate. Non rimaneteci male se sparliamo per giornate intere, se talvolta non rispondiamo a un messaggio, se prendiamo con leggerezza ciò che per voi risulta di estrema importanza. Quando vedi il peggio, hai una visione diversa della vita, ti senti svuotato, ma ciò non vuol dire che non hai un cuore, anzi lo hai eccome. Lo usi a lavoro, lo sfrutti al limite, talvolta lo lasci lì fra le 4 mura di un reparto che ti sfinisce, a provare a dare conforto a chi ne ha davvero bisogno, sperando un giorno di riaverlo indietro, seppur con qualche toppa in più.

Matteo Lucio Maiolo
Angeli Chiamati OSS

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«La stupidità è il motore del mondo. I politici, i personaggi dello spettacolo campano tutti, chi più chi meno, sulla stupidità umana.»
 
Avete mai letto da bambini La fabbrica di Cioccolato? Matilde? Il grande gigante gentile? Sono libri innocenti, starete pensando. Libri innocui. A chi mai verrebbe in mente di censurarli? Ebbene i moralisti di turno ancora una volta non si sono smentiti. 
 
Lo scrittore di libri per bambini Nicola Pesce lo ha denunciato ieri sulla sua pagina Facebook: «In pratica tolgono le parole «grasso», «pazzo», «nano»... e persino espressioni come «donna delle pulizie» diventeranno «persona addetta alle pulizie. La società che detiene i diritti delle sue opere e l'editore inglese a trent'anni dalla morte dell'autore hanno ben pensato di fare questa cosa orribile.»
 
Il politicamente corretto ormai è diventato una religione. Dapprima hanno pensato di riscrivere i classici, poi hanno censurato Shakespeare, Shakespeare! Perché? Perché parla di passioni violente e faide familiari, ed è stato abbastanza per per giudicarlo «diseducativo». Accostarsi alla letteratura in questo modo significa ucciderla. E oggi nel mirino di questa penosa censura sono caduti anche i libri per l’infanzia.
 
Qualcuno, obietterà: ma cosa importa se facciamo a meno di questa o di quella parola? È così importante, in fondo? E perché allora non eliminare la parola tristezza, perché non fare a meno della parola dolore, della parola odio? Perché sì, se si continua su questa strada, arriverà il giorno in cui non si potrà esprimere più nessun pensiero, nessuna emozione, nessuno stato d’animo che il Potere abbia giudicato socialmente inaccettabile. Edulcorare il linguaggio, riscrivere la storia significa «entrare», come diceva Goethe, «in quel luogo della mente in cui il sonno della ragione genera mostri.»
 
G.Middei
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