FUMETTISTICA (130)

Un'artista nel gioco della pallacanestro e un'ispirazione nella vita per molti. Kobe Bryant eri unico nel tuo genere e rappresenti un'era nella pallacanestro che non ci sarà mai più.

Leggi tutto…

Buongiorno a tutti per chi oggi vorrebbe passare un pomeriggio all'insegna della bella MUSICA la #cantautrice GRETA LAMAY accompagnerà con la sua voce un concorso di bellezza, che si svolge oggi. Dunque l'appuntamento è 26 gennaio 2020 ore 16 00 presso il centro commerciale CONTINENTE DI MAPELLO in provincia di Bergamo. 

Leggi tutto…

La Bellezza

Pubblico il mio commento a "La Bellezza secondo Galimberti", video di youtube.

Sono d’accordo, la Bellezza salverà il mondo. Galimberti sostiene che la bellezza sia la legge segreta della vita ma che non andrebbe concettualizzata, non andrebbe assolutizzata, non andrebbe accompagnata alla Verità. Lui insiste molto sulla percezione sensibile della bellezza e sui pensatori che concordano con ciò. È, a mio avviso, un discorso un po’ relativistico, che non mi trova d’accordo. Secondo me oggi occorre distinguere tra tutto ciò che ci viene proposto a modello di bellezza solo perché nuovo o giovane e ciò che è bello davvero, cioè “ciò che è bello perché anche vero”. Bellezza e Verità devono quindi andare abbracciate, non distinte, come invece sostiene Galimberti. Concordo con lui sul fatto che oggi spesso si tenda a considerare bello solo ciò che è utile, senza badare a ciò che è bello veramente (e qui lui si contraddice, riconoscendo il valore della Verità e della Santità, che pochi secondi prima non ammetteva). Anche il suo riconoscimento del ruolo della Chiesa nella storia dell’arte mi trova d’accordo, come il suo dire dell’importanza dell’incanto e del significato dell’opera d’arte che non si esaurisce con il visibile, ma va verso l’invisibile. La bellezza inquieta, secondo lui, perché muove, smuove e stimola. Vero, ma c’è anche la Bellezza che rasserena e dona pace (proprio quella della Verità, della bontà, della mitezza). Concludo, riguardo agli stimoli continui delle opere d’arte, citando Italo Calvino: “Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”.

Angelo

Leggi tutto…

!!!

  •    La vita è una scuola, stiamo ancora imparando da essa e scoprendola di più. Scopriamo noi stessi, attraverso le situazioni in cui viviamo, quanto siamo capaci di annientare tutti coloro che fuggono dalle nostre vite senza motivo! E siamo convinti che Dio ci ha allontanato da tutti quelli che non ci meritano... 

« Loubna El houary »

Leggi tutto…

 

Riporto qui di seguito altri miei componimenti, facenti parte della raccolta che ho pubblicato nel 2018, unitamente alla copertina del mio libro: “Quasi poesie. Storie dimenticate / per motivi diversi / volentieri raccontate / in imperfetti versi” – Editrice Albatros – Roma – 2018. Si tratta di poesie storiche e religiose, precedute da una breve descrizione dei personaggi e corredate da alcune citazioni.

 

La Guerra della Vacca

ovvero

1275: il furto d’una vacca
sconvolge il Belgio

Nel 1275, a Ciney, un oscuro villaggio del Belgio vallone, avvenne il furto di una vacca.

Tutto sarebbe passato sotto silenzio, come uno dei tanti crimini commessi, dei tanti misteri rimasti irrisolti, se non fosse stato per il fatto che, poco tempo dopo, e a poca distanza dal luogo del fattaccio, ad una fiera (ad Andenne) si presentò un uomo (un certo Engoran) con una vacca, che il depredato contadino-allevatore (tal Rigaud de Corbion) riconobbe come sua, con ammirevole abilità.

La vacca, originale o presunta tale, fu restituita al legittimo proprietario, ma, all’uscita dalla fiera e dal distretto territoriale in cui questa si svolgeva, il povero contadino che aveva restituito il maltolto venne impiccato ad un albero, forse come ammonimento per gli eventuali malintenzionati nei confronti delle vacche.

Ciò scatenò prevedibili e inevitabili rappresaglie.

Insomma, poiché l’animale era stato rubato nel Condroz leodiense (territorio sotto la giurisdizione del Principato Vescovile di Liegi), ma poi trasportato nel territorio del Marchesato (già Contea) di Namur, senza contare l’impiccagione del povero Engoran, scoppiò una guerra sanguinosa per i diritti feudali su quel territorio (la vacca fu dunque un pretesto), nella quale furono coinvolti anche il Ducato di Brabante e la Contea di Lussemburgo.

Ci furono anche case e chiese bruciate, con uomini, donne e bambini, rinchiusi all’interno e arsi vivi; per non parlare delle torture e di ogni altro genere di crudeltà.

Dopo tre anni di guerra e circa quindicimila morti, nel 1278 la situazione si risolse soltanto per l’intervento del Re di Francia Filippo III l’Ardito (ne dovette usare molto del suo ardire, e magari anche un po’ d’ardimento!), che, suo malgrado, fu chiamato a dirimere la questione, ma, capendone ben poco e non sapendo cosa fare riguardo ai diritti feudali, pensò bene di risolvere il conflitto riportando tutto alla situazione preesistente (come dargli torto?).

Per celebrare le gesta degli eroi di questa guerra, fu addirittura scritto, nel 1854, un poema, la Cineide o la vacca riconquistata (autore De Weyer de Streel), quasi una Chanson de geste medioevale, degna della Chanson de Roland.

Incredibile!

Je chante cette vache, Hélène incomparable…
Je chante cette vache, honneur d’un siècle antique,
La gloire du Condroz, pays un peu rustique…
(Io canto di questa vacca, Elena incomparabile…
Io canto di questa vacca, onore di un secolo antico, gloria del Condroz, paese un po’ rustico…)
De Weyer de Streel, La Cinéide ou la vache reconquise
(La Cineide o la vacca riconquistata)


Feudale follia,
medievale pazzia,
l’assurdo hai manifestato,
l’incredibile hai mostrato.

D’una vacca il furto
ha causato l’urto
tra eserciti in armi.
Che il Signore ci risparmi

il ripetersi d’un tale scempio.
Un uomo cattivo ed empio
s’impadronì dell’ignaro animale,
poi riconosciuto altrove quale

oggetto dell’illecito perpetrato.
Al ramo d’un albero impiccato
il presunto sottrattore,
si scatenaron vendetta e furore,

tra il Principe Vescovo Leodiense,
conti e duchi. Immense
furon le perdite umane
d’un tale scontro immane.

Quindicimila morti
in tre anni,
oltre ad infiniti torti
ed immensi danni.

Innocenti bruciati
in Chiesa dal fuoco,
molti uccisi e torturati
per crudeltà e sadico giuoco.

Per diritti e giurisdizioni
in realtà si lottava.
Per rivalità e contestazioni,
per l’altrui terre, si battagliava.

Feudale anarchia,
che ardua rende la via
della conciliazione, della concordia.
Trionfar sembra la discordia.

Ma di Francia il potente sovrano
interviene con decisa mano,
riportando la situazione
alla precedente condizione.

Dunque un nulla di fatto
per la più assurda guerra
che la storia ricordi. Quella terra
il ricordo conserva intatto

d’uomini innocenti
e del loro sangue versato
per una vacca che aveva trasformato
troppi uomini miti in assassini violenti.

Si chiude così il secolo tredicesimo.
Tu, uomo del secolo ventunesimo,
ricorda e racconta quant’è vicina
la follia di quell’assurda carneficina.


Matilde di Fiandra

ovvero

“Son troppo ben nata
per sposare un bastardo!”

La voce di Matilde (1031-1083), figlia del conte di Fiandra (nel nord del Belgio, allora nell’orbita d’influenza della Francia), ci racconta di come fu obbligata al matrimonio con Guglielmo duca di Normandia.
Costui era figlio illegittimo (bastardo) del padre, ma capace di ottenere il ducato e di conquistare l’Inghilterra (battaglia di Hastings del 1066, vinta contro il re inglese Aroldo, che da poco tempo era riuscito a prevalere sull’altro invasore: Araldo di Norvegia). Divenuto re, Guglielmo fece di Matilde la regina d’Inghilterra, pur se contro la sua volontà.
La donna non amava i suoi modi brutali, ma dovette piegarsi.

Guglielmo il Conquistatore poteva forse accettare il rifiuto di una donna?

In Francia le donne godono
di troppa considerazione

Napoleone


Io vengo di Fiandra,
da un nobil lignaggio.
Io son della Fiandra.
Astuzia, forza e coraggio,

la mia stirpe ha in abbondanza.
Son nipote d’Ogiva
del Lussemburgo, terra che danza
tra franca e germanica riva

d’europeo mondo.
V’è un uomo ambizioso,
che a nessuno vuol esser secondo.
È arrogante e presuntuoso,

e illegittimo figlio.
Di Normandia è Duca,
ed ha chiesto il mio consiglio,
il mio aiuto, perché conduca

con lui vita matrimoniale.
Vuol combattere, vuol fare la guerra,
per aumentar la sua patrimoniale
terra, per far sua l’Inghilterra.

“Son troppo ben nata
per sposare un bastardo!”.
Questa risposta a lui ho data,
lanciata forte come un dardo.

Ma ecco che, d’improvviso,
giunto a cavallo, e con l’elmo,
m’ha schiaffeggiata in viso
il normanno Duca Guglielmo.

Poi per la lunga chioma m’ha presa,
davanti a mio padre e alla corte.
A tanta violenza mi sono arresa.
Egli tutti ha minacciato, di guerra e di morte.

Forse questa era la mia sorte:
d’esser d’un barbaro moglie,
di divenir consorte
di colui che l’angliche soglie

ha oltrepassato, ha violato,
Aroldo vincitor d’Araldo vincendo.
Re d’Inghilterra è diventato,
il fiero popolo sottomettendo.

Forse qualcuno ricorda,
lettor mio caro, il nome mio gentile?
Ti prego, sia tu tra chi non scorda
una donna libera divenuta servile.

 


I potenti non sanno che potranno piegare
la nostra materia, ma il nostro spirito
– senza il nostro consenso – mai!

Lyno Guarnieri, Napoleone alla sbarra


Margherita d’Austria

ovvero

Quei versi
tra le onde
della tempesta

Margherita d’Austria (o Margherita d’Asburgo, 1480-1530), figlia di Massimiliano d’Asburgo e Maria di Borgogna, fu inizialmente promessa in sposa a Carlo VIII, delfino di Francia (che poi però la rifiutò e sposò Anna di Bretagna), ma infine concessa (come ripiego) a Giovanni d’Aragona.
Partì perciò da Flessinga, in Olanda, per La Coruña, in Spagna, alla fine del 1496.
Vi fu una tempesta e rischiò il naufragio.

Tra le onde della tempesta, credendo di morire, scrisse alcuni versi, come epitaffio per se stessa (Giosuè Carducci li citerà nella sua opera Rime nuove).
La nave non affondò, ma riparò sulle coste inglesi.
Giunta in Spagna, sposò don Giovanni, che, di salute fragile, presto morì, si dice per eccesso di passione con lei, troppo avvenente (Che sventura esser belle!).

Vedova, sposò Filiberto II di Savoia, che ebbe la malaugurata idea, morendo anch’egli presto, di lasciarla nuovamente sola.
Essendo zia del futuro Carlo V (Carlo di Gand), quello sul cui impero non tramontava mai il sole, poiché possedeva domini in Europa e nel Sudamerica, si dedicò alla sua educazione in Belgio.

Con Luisa di Savoia, sorella del suo secondo defunto marito, oltre che madre di Francesco I re di Francia, firmò la Pace delle due Dame (1529), o di Cambrai, per pacificare la Francia e l’Impero Asburgico, sempre in lotta (“La lutte d’une maison contre une nation”, ovvero “La lotta della casata dinastica asburgica contro la nazione francese”).
Si adoperò per favorire l’elezione di Carlo a imperatore, poi riuscita.

Donna di cultura, amante delle lettere, fu Governatrice dei Paesi Bassi, allora sotto il dominio asburgico, dal 1507 al 1515. Ritenne che Vallonia, Liegi, Limburgo, Lussemburgo, Fiandre e Brabante, potessero costituire una nazione (il futuro Belgio), pur tra le differenze, con la funzione di “stato cuscinetto”, pur se sotto la tutela della Spagna asburgica, di equidistante “ago della bilancia” tra le grandi potenze di Francia, Inghilterra e Germania.

Dedicò gran parte della sua vita alla ragion di stato, alla politica e all’educazione del nipote Carlo. Si spese sino allo sfinimento, vera e propria prigioniera dei suoi doveri, o, meglio, dei doveri che accettò di assumersi, forse tradendo un po’ di ambizione e desiderio di potere.

Qui si lamenta per aver sacrificato il suo tempo, la sua libertà, le gioie terrene dell’esser donna al bene e alla grandezza degli Asburgo.

Sua più grande passione è stata però la cultura.

Volentieri ci racconta la sua storia.

“Ci-git Margot, la gente demoiselle,
Qu’eut deux maris et ci mourut pucelle”.

(“Qui Margarita sta, regal donzella,
ch’ebbe due sposi eppur morì pulzella”.)

Margherita d’Austria, Versi composti nel 1496 sulla nave,
nel mezzo della tempesta, diretta da Flessinga a La Coruña,
come epitaffio per se stessa.

Solca la nave le onde della procella.
Sul timido legno nessun più favella.
È potente la tempesta, e forte.
Sembra il mare voler portarmi la morte.

Qui scrivo questi versi,
che consegno alla Storia,
qualora non vadano persi,
tra i flutti o tra pagine senza gloria:

“Qui Margarita sta, regal donzella,
ch’ebbe due sposi eppur morì pulzella”.
Al Delfino di Francia promessa
e poi rifiutata, alfin concessa

fui al Don Giovanni spagnolo.
Il gorgo d’acqua non mi prese.
Dal provvidenziale riparo inglese
venti e vele mi condussero all’iberico suolo.

Rimasta vedova troppo presto,
Filiberto di Savoia, onesto,
bello e buono, secondo marito
mi fu. Ma anch’egli, tosto partito

al cielo, lasciommi sconsolata,
dall’amor terreno abbandonata.
Così alla ragion di stato
la mia vita ho dedicato.

Dell’esser donna ho sacrificato
le gioie, i piaceri, l’allegria,
per consolidare il primato
della grande asburgica dinastia.

Il giovane Carlo Quinto ho cresciuto.
Ora vorrei mi fosse estraneo e lontano.
Vorrei non aver conosciuto
la politica, il potere e la mano

che lo amministra e lo detiene.
Ora è tempo, ora conviene,
ch’io lasci ad altri,
di me più energici e scaltri.

Da molti anni ormai
non ricevo d’un uomo le carezze,
non conosco affettività e tenerezze.
Doveri, preoccupazioni e guai,

m’hanno distrutta, svuotata,
annullata e consumata.
La mia vita ho sacrificata.
E ora vorrei non esser mai nata.

Più della futura Regina d’Inghilterra,
la vergine Prima Elisabetta,
ai miei desideri ho fatto guerra,
conoscendo la reazione e la vendetta

della mia natura femminile.
Ma nell’attività febbrile
le mie energie ho riversato,
scacciando ogni possibile innamorato

dalla mente e dal cuore.
Talvolta m’assale il tormento, il dolore,
il rimorso ed anche il rimpianto
per aver gettato il manto

della bella libertà.
Così le arti ho coltivato,
perché verità e felicità
ho sempre comunque ricercato.

Ora riposo in pace.
Parlarti assai mi piace,
caro lettore futuro e attento,
poiché abbandonato ho ogni turbamento.

La vendetta dell’asino
e la giustizia di Dio

ovvero

Il lupo “bastato” di Santo Remaclo

Nel settimo secolo, il monaco Remaclo (600-669), poi santo, fondò (651) l’abbazia di Stavelot, in Belgio.

Si narra che, mentre il monaco costruiva l’abbazia con l’aiuto di un asino, per portare le pesanti pietre, il diavolo, non volendo che si realizzasse un altro luogo santo, si trasformò in un lupo e divorò il povero somarello.

Ma ecco che Santo Remaclo obbligò il lupo a sostituire il suo asinello, facendolo lavorare duramente e completando la costruzione dell’abbazia.

Il lupo fu “bastato”, cioè obbligato a portare il “basto”, sella di legno con ceste per il trasporto delle pietre.

Ecco compiuta la vendetta dell’asino e la giustizia di Dio.

Nel settimo secolo dopo Cristo
accadde un fatto tristo.
Un povero asino obbediente
lavorava, senza niente

domandare, per costruire
l’Abbazia di Stavelot e così offrire
un luogo santo dove pregare
e a Dio la vita consacrare.

Serviva Remaclo, futuro santo,
d’Aquitania proveniente,
Abate che poco, e non tanto,
è conosciuto in Italia. Attente

eran del monaco le mani laboriose,
non soltanto intente
alle sacre cerimonie religiose.
Tal opra fortemente

disturbava lo dimonio malvagio,
che sopraggiunse adagio adagio,
con lupesca sembianza,
per far pasto e mattanza

del devoto asinello.
Che così avvenne m’han raccontato,
e il povero somarello
perse la vita divorato.

S’accorse Remaclo allora
del tragico accadimento.
Ed ecco giunger l’ora
della Giustizia e del tormento

per il diavolesco lupo assassino.
L’Abate Remaclo il basto,
rozza sella di legno, un mattino
mise alla bestia che fece il pasto.

Così l’animale fu caricato
di ceste, pietre, e obbligato
a fare il lavoro della sua
vittima innocente. La tua

memoria non scordi mai,
caro lettor mio,
la vendetta dell’asino. Sai,
in realtà fu la Giustizia di Dio.

Le Croci di Chevetogne

ovvero

Fratelli in Cristo

Nato per iniziativa cattolica, il monastero di Chevetogne, in Belgio, accoglie monaci cattolici e ortodossi. Hanno due diverse chiese, per i due diversi riti, ma conducono vita comune per lo studio e la preghiera.

Colpisce molto il Cimitero, anch’esso in comune, dove si possono vedere Croci cattoliche e Croci ortodosse, sorelle, tra la brezza leggera.

Qui si respira veramente un’atmosfera di condivisione, di comunione e di pace.
 
Le campane di una chiesa
suonavano da qualche parte.

Georges Simenon, Chez les Flamands
(La casa dei Fiamminghi)

Solitario passeggiavo,
in compagnia del vento.
Questo luogo contemplavo,
meravigliato e attento.

Qui, dove tutto tace,
tutto esprime, in realtà,
la Divina Misericordia, la bontà,
di Colui a cui piace

concordia e pace offrire
all’uomo, che talvolta
preferisce soffrire
che compier d’amore la svolta.

Qui vi son due chiese,
dove soddisfar le attese
di cattolici e ortodossi.
Qui gli spiriti son mossi

da fratellanza, fraternità, comunione.
Qui le chiese sorelle,
diversamente belle,
vivon la condivisione,

lavorando per ritrovare
un giorno la comunione perfetta,
l’unione benedetta,
per meglio Dio lodare,

per meglio glorificare
la Trinità Santa.
In questo luogo puoi trovare
la natura che incanta,

il creato in armonia,
la divina compagnia,
il senso dell’esistenza
ed in te la presenza

di Cristo Salvatore.
Eccomi orante visitatore
qui nel camposanto.
Sereno, più che affranto,

vedo le croci sorelle,
cattoliche e ortodosse accanto.
Non tristi, ma belle,
mi consolan tanto.

 

Leggi tutto…
RSS
Inviami una notifica quando vengono nuovi articoli in questa categoria –