ANGELO BRAMBILLA

Trascrivo qui di seguito tre poesie (due dedicate alle donne e una con un personaggio maschile), tratte dal mio libro:
“Quasi poesie. Storie dimenticate / per motivi diversi / volentieri raccontate / in imperfetti versi” – Editrice Albatros – Roma – 2018. Sono precedute da una breve introduzione storica del personaggio e corredate da alcune citazioni. Angelo

Donne

Donna, accomoderete Dio?

Charles Péguy, Lui è qui

Matilde di Fiandra

ovvero

“Son troppo ben nata
per sposare un bastardo!”

La voce di Matilde (1031-1083), figlia del conte di Fiandra (nel nord del Belgio, allora nell’orbita d’influenza della Francia), ci racconta di come fu obbligata al matrimonio con Guglielmo duca di Normandia.
Costui era figlio illegittimo (bastardo) del padre, ma capace di ottenere il ducato e di conquistare l’Inghilterra (battaglia di Hastings del 1066, vinta contro il re inglese Aroldo, che da poco tempo era riuscito a prevalere sull’altro invasore: Araldo di Norvegia). Divenuto re, Guglielmo fece di Matilde la regina d’Inghilterra, pur se contro la sua volontà.
La donna non amava i suoi modi brutali, ma dovette piegarsi.

Guglielmo il Conquistatore poteva forse accettare il rifiuto di una donna?

In Francia le donne godono
di troppa considerazione

Napoleone

Io vengo di Fiandra,
da un nobil lignaggio.
Io son della Fiandra.
Astuzia, forza e coraggio,

la mia stirpe ha in abbondanza.
Son nipote d’Ogiva
del Lussemburgo, terra che danza
tra franca e germanica riva

d’europeo mondo.
V’è un uomo ambizioso,
che a nessuno vuol esser secondo.
È arrogante e presuntuoso,

e illegittimo figlio.
Di Normandia è Duca,
ed ha chiesto il mio consiglio,
il mio aiuto, perché conduca

con lui vita matrimoniale.
Vuol combattere, vuol fare la guerra,
per aumentar la sua patrimoniale
terra, per far sua l’Inghilterra.

“Son troppo ben nata
per sposare un bastardo!”.
Questa risposta a lui ho data,
lanciata forte come un dardo.

Ma ecco che, d’improvviso,
giunto a cavallo, e con l’elmo,
m’ha schiaffeggiata in viso
il normanno Duca Guglielmo.

Poi per la lunga chioma m’ha presa,
davanti a mio padre e alla corte.
A tanta violenza mi sono arresa.
Egli tutti ha minacciato, di guerra e di morte.

Forse questa era la mia sorte:
d’esser d’un barbaro moglie,
di divenir consorte
di colui che l’angliche soglie

ha oltrepassato, ha violato,
Aroldo vincitor d’Araldo vincendo.
Re d’Inghilterra è diventato,
il fiero popolo sottomettendo.

Forse qualcuno ricorda,
lettor mio caro, il nome mio gentile?
Ti prego, sia tu tra chi non scorda
una donna libera divenuta servile.

I potenti non sanno che potranno piegare
la nostra materia, ma il nostro spirito
– senza il nostro consenso – mai!

Lyno Guarnieri, Napoleone alla sbarra

Margherita d’Austria

ovvero

Quei versi
tra le onde
della tempesta

Margherita d’Austria (o Margherita d’Asburgo, 1480-1530), figlia di Massimiliano d’Asburgo e Maria di Borgogna, fu inizialmente promessa in sposa a Carlo VIII, delfino di Francia (che poi però la rifiutò e sposò Anna di Bretagna), ma infine concessa (come ripiego) a Giovanni d’Aragona.
Partì perciò da Flessinga, in Olanda, per La Coruña, in Spagna, alla fine del 1496.
Vi fu una tempesta e rischiò il naufragio.

Tra le onde della tempesta, credendo di morire, scrisse alcuni versi, come epitaffio per se stessa (Giosuè Carducci li citerà nella sua opera Rime nuove).
La nave non affondò, ma riparò sulle coste inglesi.
Giunta in Spagna, sposò don Giovanni, che, di salute fragile, presto morì, si dice per eccesso di passione con lei, troppo avvenente (Che sventura esser belle!).

Vedova, sposò Filiberto II di Savoia, che ebbe la malaugurata idea, morendo anch’egli presto, di lasciarla nuovamente sola.
Essendo zia del futuro Carlo V (Carlo di Gand), quello sul cui impero non tramontava mai il sole, poiché possedeva domini in Europa e nel Sudamerica, si dedicò alla sua educazione in Belgio.

Con Luisa di Savoia, sorella del suo secondo defunto marito, oltre che madre di Francesco I re di Francia, firmò la Pace delle due Dame (1529), o di Cambrai, per pacificare la Francia e l’Impero Asburgico, sempre in lotta (“La lutte d’une maison contre une nation”, ovvero “La lotta della casata dinastica asburgica contro la nazione francese”).
Si adoperò per favorire l’elezione di Carlo a imperatore, poi riuscita.

Donna di cultura, amante delle lettere, fu Governatrice dei Paesi Bassi, allora sotto il dominio asburgico, dal 1507 al 1515. Ritenne che Vallonia, Liegi, Limburgo, Lussemburgo, Fiandre e Brabante, potessero costituire una nazione (il futuro Belgio), pur tra le differenze, con la funzione di “stato cuscinetto”, pur se sotto la tutela della Spagna asburgica, di equidistante “ago della bilancia” tra le grandi potenze di Francia, Inghilterra e Germania.

Dedicò gran parte della sua vita alla ragion di stato, alla politica e all’educazione del nipote Carlo. Si spese sino allo sfinimento, vera e propria prigioniera dei suoi doveri, o, meglio, dei doveri che accettò di assumersi, forse tradendo un po’ di ambizione e desiderio di potere.

Qui si lamenta per aver sacrificato il suo tempo, la sua libertà, le gioie terrene dell’esser donna al bene e alla grandezza degli Asburgo.

Sua più grande passione è stata però la cultura.

Volentieri ci racconta la sua storia.

“Ci-git Margot, la gente demoiselle,
Qu’eut deux maris et ci mourut pucelle”.

(“Qui Margarita sta, regal donzella,
ch’ebbe due sposi eppur morì pulzella”.)

Margherita d’Austria, Versi composti nel 1496 sulla nave,
nel mezzo della tempesta, diretta da Flessinga a La Coruña,
come epitaffio per se stessa.

Solca la nave le onde della procella.
Sul timido legno nessun più favella.
È potente la tempesta, e forte.
Sembra il mare voler portarmi la morte.

Qui scrivo questi versi,
che consegno alla Storia,
qualora non vadano persi,
tra i flutti o tra pagine senza gloria:

“Qui Margarita sta, regal donzella,
ch’ebbe due sposi eppur morì pulzella”.
Al Delfino di Francia promessa
e poi rifiutata, alfin concessa

fui al Don Giovanni spagnolo.
Il gorgo d’acqua non mi prese.
Dal provvidenziale riparo inglese
venti e vele mi condussero all’iberico suolo.

Rimasta vedova troppo presto,
Filiberto di Savoia, onesto,
bello e buono, secondo marito
mi fu. Ma anch’egli, tosto partito

al cielo, lasciommi sconsolata,
dall’amor terreno abbandonata.
Così alla ragion di stato
la mia vita ho dedicato.

Dell’esser donna ho sacrificato
le gioie, i piaceri, l’allegria,
per consolidare il primato
della grande asburgica dinastia.

Il giovane Carlo Quinto ho cresciuto.
Ora vorrei mi fosse estraneo e lontano.
Vorrei non aver conosciuto
la politica, il potere e la mano

che lo amministra e lo detiene.
Ora è tempo, ora conviene,
ch’io lasci ad altri,
di me più energici e scaltri.

Da molti anni ormai
non ricevo d’un uomo le carezze,
non conosco affettività e tenerezze.
Doveri, preoccupazioni e guai,

m’hanno distrutta, svuotata,
annullata e consumata.
La mia vita ho sacrificata.
E ora vorrei non esser mai nata.

Più della futura Regina d’Inghilterra,
la vergine Prima Elisabetta,
ai miei desideri ho fatto guerra,
conoscendo la reazione e la vendetta

della mia natura femminile.
Ma nell’attività febbrile
le mie energie ho riversato,
scacciando ogni possibile innamorato

dalla mente e dal cuore.
Talvolta m’assale il tormento, il dolore,
il rimorso ed anche il rimpianto
per aver gettato il manto

della bella libertà.
Così le arti ho coltivato,
perché verità e felicità
ho sempre comunque ricercato.

Ora riposo in pace.
Parlarti assai mi piace,
caro lettore futuro e attento,
poiché abbandonato ho ogni turbamento.

Uomini

Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo.

Salvatore Quasimodo, Uomo del mio tempo

Il sovrano titubante

ovvero

Hirohito e la guerra

Hirohito (1901-1989) è stato imperatore del Giappone per lunghi decenni, compreso il difficilissimo periodo della Seconda Guerra Mondiale, con la resa del Giappone, dopo le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, e la dichiarazione, secondo alcuni imposta dagli Alleati occupanti, della sua natura umana e non divina di imperatore, che invece era creduta tradizionalmente dalla religione scintoista.

Qui Hirohito ci confida di essere sempre stato contrario alla guerra, ma di essere stato molto indeciso, titubante, a causa dell’influenza esercitata dai suoi militari sulle sue decisioni.
La sua indecisione lo ha rafforzato nella convinzione di non essere di natura divina.

In conclusione, egli parla in difesa di se stesso, per poi chiederci una preghiera.

Tutti gli uomini sono fratelli,
come il mare che bagna tutto il mondo;
quindi perché il vento e le onde
si scagliano con violenza ovunque?

Hirohito

Ora so per certo
che al divino concerto
non appartengo affatto.
Allo stretto contatto

con gli occupanti vincitori
molti hanno attribuito
questo mio parlar contrito.
Di certo, troppi dolori

il mio popolo ha subito.
Troppi morti quella bomba orrenda
ha causato e causerà. Difenda
chi lo desidera il mio mito,

il mio essere divino.
Io non lo farò mai più,
poiché ora e quaggiù
ho capito che dell’inchino

devoto a me prima riservato
non son degno affatto.
Ho compreso e sperimentato
il mio essere inadatto,

il mio timore,
la mia indecisione,
il mio tremore,
la mia condizione

di dubbio insuperabile,
di ostacolo insormontabile,
di decisioni rimandate,
di parole soffocate.

Entrare in guerra non volevo,
ma i miei generali vedevo
come devoti adulatori
e mostruosi tramatori.

Cosa fare dunque?
La vita di chiunque
altro avrei voluto in dono,
per conoscere il suono

della pace e del nascondimento.
Ma ho infine acconsentito, spento
nel cuore, a lasciare che il forte vento
della guerra, il violento

sussulto dei prepotenti arroganti,
coprisse il Giappone mio amato.
Poi la resa ho accettato.
Non mi crederanno in tanti,

ma io dichiaro ugualmente
che la guerra non volevo,
che il da farsi non sapevo,
che il mio cuore e la mia mente

lacerati eran tanto.
Non voleva l’anima mia
lo scontro e l’odioso canto,
ma firmai per la guerresca via.

Se puoi e se non ti spiace,
per me prega e dimmi pace.
Son Hirohito il titubante,
sovrano del sol levante.

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